La sinistra che non c’è vista da Roma

Roma, sabato 9 luglio, 40 gradi. Finisco di lavorare tardi, non  ho voglia di rientrare a casa, vediamo cosa ci offre l’estate romana. Niente. Con tutti i problemi che aveva Tronca, non poteva certo pensare al programma culturale! Allora vado alla festa dell’Unità! Quale festa? Con la gestione catastrofica del caso Marino e del partito romano, ci mancava pure l’organizzazione della Festa dell’Unità!

Non mi rassegno e passeggio per Trastevere, dove trovo il cinema all’aperto gratis a piazza San Cosimato e un bellissimo film di Louis Malle. Peccato quel tanfo penetrante dovuto ai cumuli di immondizia accanto ai bidoni pieni, liquefatti dai 40 gradi della giornata. E tra turisti che fanno il bagno in costume nelle più belle fontane romane,  il solito sciopero dei trasporti, regionale, provinciale, locale, tanto per ricordare a tutti chi comanda, si insedia la nuova sindaca. Facile capire, con tanto disimpegno di sinistra, come ha fatto a vincere!

Sì perché la sinistra a Roma ha fatto peggio di Johnson e di Farage in Inghilterra. Lì hanno combattuto per una scelta più grossa di loro, che poi non hanno avuto il coraggio di gestire e questi cosiddetti leader hanno abbandonato la politica; qui, invece, hanno rinunciato del tutto a combattere, a scegliere, hanno rinunciato in partenza a fare politica. Ma l’inerzia è così forte, che qui neanche si dimettono.

Roma tuttavia, non è che un caso emblematico. Guardiamo cosa ha fatto la sinistra al governo del Paese, sui temi caldi e cari alla sinistra: scuola, lavoro, diseguaglienze sociali.

Scuola: la riforma della buona scuola, direte voi. A parte il cattivo gusto di autocelebrarsi chiamando buona scuola una leggina che non riforma nulla, ma semplicemente pone fine, su obbligo della Corte europea, all’anomalia italiana di docenti a contratto a tempo determinato da molto più dei 3 anni consentiti dalla legge, ma questa legge non ha proprio nulla né di riforma, né di buono! Con l’occasione di dover immettere in ruolo personale sfruttato a volte da decenni, si è approfittato per screditare ancora di più la categoria dei docenti. In che modo? Il contratto resta bloccato dal 2009 (i docenti italiani hanno già tra i salari più bassi d’Europa), ma a discrezione del Preside possono essere valutati e ricevere un bonus a fine anno di pochi euro e sempre a discrezione del Preside possono essere selezionati o meno in base alle loro “competenze” per andare in questa o quella scuola. Svilire gli insegnanti è un’attività particolarmente gradita a questa classe dirigente (ma io mi domando, quale altra categoria di statali è trattata in questo modo?), peccato che ha ripercussioni enormi sui ragazzi, che crescono anche loro nello svilimento e nella rassegnazione e giustamente dicono, perché devo studiare tanto, fare concorsi difficilissimi per poi forse lavorare a 1300 euro al mese ed essere insultati da tutti? Ecco come si allevano i NEET (Not Engaged in Employment or Training), i giovani che non lavorano, né studiano. Fine della riforma. I programmi sono gli stessi, le ore di insegnamento sono le stesse, la formazione insegnanti è inesistente come prima.

Lavoro: il jobs act, ovviamente! Cos’è stata la cosa più rivoluzionaria della riforma sul lavoro? L’abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, senza ombra di dubbio, obiettivo che neanche la destra si era mai posto. Il resto, non è una grande novità, rispetto ai governi precedenti: ammortizzatori sociali complicatissimi che riguardano pochissime categorie di lavoratori che rispondono a requisiti impossibili, per scoprire i quali meglio rivolgersi a qualche corporazione; l’agenzia nazionale del lavoro, che ad oggi non risulta abbia fatto più progressi del vecchio collocamento; qualche piccolo miglioramento e semplificazione sui contratti di lavoro, che però purtroppo non aumentano perché l’andamento dell’economia italiana non migliora ormai da anni. Però l’abolizione dell’articolo dello statuto dei lavoratori che protegge il lavoratore licenziato ingiustamente è andata a buon fine, cancellando in un sol colpo secoli di lotte operaie. Aveva solo un valore simbolico, dirà qualcuno, ma è proprio di simboli che è fatta la  nostra umanità! Dulcis in fundo, la ripresa del cuneo fiscale, ossia gli 80 euro per i lavoratori al di sotto di 24.000 euro di reddito. Peccato che questa concessione abbia così tanto l’aspetto di ancient régime, di una concessione dall’alto, octroyé, che ha come contropartita infatti proprio l’interruzione delle relazioni sindacali e anche qui la continua offesa e svalutazione delle associazioni che difendono i lavoratori.

Diseguaglianze sociali: è qui che l’attuale governo tocca il fondo. L’Italia è il paese dei tanti primati negativi europei: il più alto numero di NEET e di donne inoccupate, il basso tasso di immigrati che occupano posti di lavoro regolari, alto tasso di violenza sulle donne. E non mi sembra che questo governo si sia battuto, fin dai suoi aspetti simbolici, e dunque fondamentali, quali il linguaggio, per tentare di porre rimedio a queste grandi tragedie italiane (una generazione di giovani nullafacenti, immigrati schiavizzati dalle mafie, donne uccise quotidianamente in quanto donne). Certo sono questioni enormi, che necessitano anni di duro lavoro per essere superate, ma qui non si è che all’inizio! I giovani (già chiamati choosy dal precedente governo di sinistra) non hanno alcuna opportunità, si sta sprecando un’intera generazione di italiani; non ci sono iniziative capillari contro il razzismo o il sessismo, i centri anti-violenza chiudono, la 194 è inapplicabile in buona parte delle regioni italiane.

Se a questo panorama aggiungiamo la crisi finanziaria e l’incertezza sui referendum istituzionali di autunno, che allarma i mercati e mette a rischio la già fragile economia italiana, allora mi chiedo: ma cosa deve votare chi vuole difendere ancora i valori della sinistra, i valori dell’uguaglianza, del lavoro, del diritto all’istruzione e alla formazione, alla lotta contro la discriminazione e la violenza?


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