Chi ha paura della scuola privata?

Ogni volta che si parla di scuola – e non se n’è mai parlato tanto come in questi ultimi mesi – ecco che si fa subito avanti qualche anima bella con lo slogan più monolitico e immutabile che ci sia: “No alla scuola privata!”. Uno slogan semplice, uguale da 50 anni, che sembra all’improvviso unificare persone e ideologie diverse sotto lo stendardo della meravigliosa scuola statale italiana, messa a dura prova dai finanziamenti alle scuole private.

Ma cerchiamo di analizzare veramente cosa sia in Italia la scuola privata. Innanzitutto scuola pubblica non è il contrario di scuola privata: la scuola pubblica infatti può essere sia statale, che privata. In gran parte d’Europa, lo Stato delega con successo il privato a realizzare scuole di ogni grado. La scuola privata in Italia si chiama paritaria e dal 2000 è stata equiparata in tutti i suoi aspetti a quella statale, a partire dai contratti degli insegnanti che devono essere gli stessi della scuola statale (mentre si parla continuamente a sproposito di “sfruttamento” degli insegnanti nella scuola privata, come se nella scuola statale invece gli insegnanti fossero trattati con dignità, basti vedere il contenzioso decennale sul precariato, finito alla Corte europea). Poi c’è la scuola privata non pubblica, che non è obbligata a rispettare le regole della scuola statale, che può essere liberamente istituita da enti pubblici e privati, senza oneri per lo Stato (art. 33 della Costituzione). Questa è la parte più disattesa. In Italia enti stranieri possono istituire scuole private, per esempio per l’insegnamento delle lingue straniere, e poi possono non pagare le tasse in quanto “enti culturali”, sebbene incassino introiti fiscalmente rilevanti. Ma di questo, chissà perché, nessuno si scandalizza.

Si dirà: anche la scuola pubblica privata deve essere istituita “senza oneri per lo Stato”. La scuola pubblica ovviamente è un grande onere per lo Stato, una delle voci più importanti della spesa pubblica. Quarantaquattro deputati hanno pubblicato sull’Avvenire del 1° marzo scorso, i dati del risparmio dello Stato che finanzia la scuola paritaria. Si dice che, con oltre un milione e trecentomila alunni alla scuola paritaria, lo Stato spende 478 milioni di finanziamento, ma risparmia sette miliardi di potenziali spese se questi alunni andassero alla scuola statale.

Costo o risparmio che sia, secondo me, la domanda cruciale è ben altra: cosa sarebbe l’Italia senza la scuola paritaria? Prendiamo i miei amici Matteo e Laura. Si sono trasferiti a Milano dal Sud, hanno due bambini piccoli, i loro genitori sono lontani, la scuola materna vicino casa non ha preso i loro bambini, sono già pieni, quella più vicina è a 6 fermate di autobus di distanza, ma dalla parte opposta dei loro luoghi di lavoro. Si dà il caso che a pochi passi da casa loro ci sia una scuola paritaria cattolica. Spendendo poco più di 100 euro al mese a figlio (mensa esclusa, ma quella si paga anche nelle scuole statali!) hanno la possibilità di lasciare i loro figli a partire dalle 7.30 del mattino (e loro alle 8 devono essere al lavoro) e questa scuola è anche flessibile sull’orario di uscita. Loro non sono cattolici, ma le maestre sono gentili e la comodità è tanta. Che fareste al posto loro? Ed ora prendiamo anche tutti gli altri miei amici, quelli i cui figli vengono bocciati dalla scuola statale, vengono “fermati”, più di una volta. Hanno un disturbo specifico dell’apprendimento, hanno qualche difficoltà, sono pigri, o diversamente intelligenti. La dispersione scolastica in Italia è del 17%, tra le più alte nei Paesi della UE, il cui target di dispersione è il 10%. Che farebbero allora migliaia di ragazzi cacciati dalla scuola statale, se non avessero neanche l’ultima spiaggia della scuola paritaria? Andrebbero ad accrescere quel numero enorme di dispersi, o forse peggio, in un Paese con un livello così alto di criminalità organizzata. Mi racconta un’amica che suo figlio ha appena avuto una crisi nei confronti della sua scuola, un rifiuto profondo e ora non vuole più tornare in classe sua. Lei e suo marito hanno provato a fargli cambiare classe, o scuola, ma nessuna scuola statale ha accettato un ragazzo a fine febbraio. Alcune si sono rivolte loro dicendo che “non accettano gli scarti delle altre scuole”. Che fare allora? Lasciare un ragazzo di 14 anni da solo a casa tutto il giorno? E che ne sarebbe del suo disagio che gli ha impedito di tornare in classe? Per fortuna una scuola paritaria lo ha accettato, per un costo che anche loro, operai, possono permettersi di pagare.

Allora mi chiedo: perché non scandalizzarsi invece per lo stato di abbandono totale, di declino della scuola pubblica? Perché non fare battaglie per rinnovare i programmi, obsoleti e irrilevanti; per cambiare le metodologie didattiche, punitive e scoraggianti; per mettere in atto un piano di formazione epocale, che porti i nostri docenti ad utilizzare metodi didattici in linea con le più recenti ricerche psicologiche e tecnologiche; per dare dignità alla classe docente, con un contratto nuovo ed un salario adeguato, che permetta almeno un adeguato livello di vita culturale e l’assunzione di giovani; perché non lottare per una scuola pubblica inclusiva, che sappia accogliere i ragazzi e le ragazze straniere, diversamente abili, intelligenti, emotivi, una scuola moderna, con spazi e tecnologie adeguate, una scuola che rinnovi l’impresa ed il lavoro?

Chissà, quando la scuola statale italiana sarà diventata tutto questo, forse anch’io non vorrei più che si finanziasse quella paritaria; o forse preferirei comunque una sana competizione tra le due che porti ad un miglioramento continuo dell’offerta formativa per i giovani e non solo.


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